Invecchiamento ed eutanasia

Invecchiamento ed eutanasia

Invecchiamento ed eutanasia cosa c’entrano?

Invecchiamento ed eutanasia
Alain Delon

“Invecchiare fa schifo. Non puoi farci niente, l’età si fa sentire. Non riconosci la faccia, perdi la vista. Ti alzi e, accidenti, ti fa male la caviglia.
Per questo ho chiesto a mio figlio Anthony, di organizzare la mia eutanasia per quando sarò pronto. Ho già anche fatto testamento, affinché la mia eredità non si trasformi in motivo di contesa tra i miei discendenti.
Dopo una certa età si ha il diritto di andarsene tranquillamente, senza passare per ospedali, iniezioni e così via. La vita non mi dà più molto.
Ho conosciuto tutto, ho visto tutto.
Ma soprattutto, odio questa epoca, la rigetto. Ci sono degli esseri che odio. Tutto è falso, tutto è distorto, non c’è rispetto, niente più parole d’onore. Conta solo il denaro. So che lascerò questo mondo senza rimpianti…”.

• Alain Delon

Invecchiamento ed eutanasia. Ma l’amore?

Sono rimasta molto colpita da queste parole. Guardando gl’occhi di Alain Delon ho percepito tutto il suo fallimento.

Sono occhi tristi, delusi dalla vita. Ma può bastare la semplice delusione della vita per decidere di liberarsene?

Nessun uomo ragionevole vuole morire a meno che non soffra di qualcosa che lo esasperi. Anche in quel caso non vuole morire ma vuole liberarsi da quell’esasperazione.

Siamo fatti per la vita

Invecchiamento ed eutanasia

Noi siamo stati fatti per la vita ecco perché la morte è sempre come un ladro che ci ruba ciò a cui teniamo di più.  A riguardo mi torna in mente un versetto della Bibbia Mt 24,42-51“Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti”.

Non possiamo diventare complici della morte, anche se come società stiamo sempre più cedendo alle logiche dell’eutanasia e di altre cose affini. La morte non è mai la soluzione.

Dobbiamo accettarla quando non possiamo più evitarla, ma non certo andarla a cercare come soluzione alla vita. Ma soprattutto come mera soluzione ad una vecchiaia deludente o perché il mondo è marcio.

Possiamo farci trovare preparati ma non complici.

La vecchiaia non piace a nessuno.

Eh già, la vecchiaia non piace a nessuno. Abbiamo un corpo in prestito e quando la vita non ci dà più molto (come dice Alain Delon) non la voglio più. Praticamente sta dicendo che quando le cose non vanno più come dico “io”, quando la vita non corrisponde più ad un certo disegno o un determinato livello di vita allora la mando a quel paese, la mando a morte.

                “La vita non mi dà più molto. Ho conosciuto tutto, ho visto tutto”

Abbracciare questa soluzione per me significa non amare, non amare tuo figlio, non amare tua moglie, non amare il tuo cane il tuo gatto la tua famiglia, un amico caro. Significa che non hai amato. A  maggior ragione non te ne puoi andare! Come si dice dalle mie parti: non te ne puoi andare quando te lo dice la coccia a te ma solo quando Dio vorrà.  

Se chiedi a tuo figlio di programmare la tua morte non lo stai certo amando, di converso gli stai dicendo che non ti importa più di vederlo, nemmeno per un attimo.

Gli stai dicendo che vuoi abbandonarlo e che anche lui rientra nell’errore della tua vita.
Gli stai dicendo che anche lui è spazzatura dalla quale liberarsi.

Invecchiamento ed eutanasia. La cattiva consigliera.

Bhè, tutto ciò però mi fa pensare alla unica e sola responsabile; la SOLITUDINE! Cattiva consigliera. L’unica che genera depressione, angoscia, distruzione.

Buona parte di coloro che chiedono di morire non sono persone in fin di vita, ma “scelgono” la morte per tristezza o solitudine.

“Vuole morire? Che muoia!”. Non sarà che l’eutanasia è voluta più per sollevare i familiari dalle cure del malato che per sollevare il malato stesso? Non sarà che spesso la gente chiede di morire per “non sentirsi di peso”?

Ma siamo sicuri che per le nostre famiglie un genitore malato e disabile sia un peso?
Spesso sono un peso perché sono stanche fisicamente soprattutto perché l’aiuto sociale è insufficiente.

(Diverso è il caso del suicidio medicalmente assistito, sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, dal quale comunque dissento e che tratterò in altro articolo)

COSA RIMANE ALLA FINE DEL VIAGGIO?
Invecchiamento ed eutanasia Manuela Di Dalmazi
Solo l’amore cura.

Forse perché sono madre ed anche quando sto male vedere gl’occhi dei miei figli è motivo per sentirmi ancora più aggrappata alla vita.

Cosa rimane alla fine del viaggio? E’ questa l’eterna domanda alla quale c’è un’unica risposta che è l’amore, quanto abbiamo amato. Non c’è altro.

Manuela Di Dalmazi

Foto: Pixabay

Fonte: Fede2.0

Il suo nome è Primavera

Il suo nome à Primavera

Per #fotopoetando: Il suo nome è Primavera.

Il suo nome à Primavera
Foto: Marta Orlowska

Poesia: Il suo nome è Primavera

Una donna divina

con la musica fra le dita

note odorose il suo corpo 

che s’offre tappeto fiorito

d’un canto soave 

la Primavera al mondo.

Manuela Di Dalmazi

Il suo nome è primavera

Il suo nome è Primavera. Essa è anche uno stato d’animo.

Leggere dentro e fuori.

Più leggere dell’inverno, un po’ meno dell’estate: questa stagione è così.

Ci fa sentire in bilico, con un piede che va verso il mare, e un altro più intimorito che resta a guardare la stagione passata cercando il coraggio di salutarla definitivamente.

Ecco che si alternano ballerine senza calze ai biker, maglioncini di filo ai giubbotti di pelle. Senza un motivo preciso, solo perché quel giorno ci siamo svegliate con un pizzico di audacia in più, perchè ci piace metterci in gioco.

Il rischio, in fondo, è proprio il trampolino che ci permette di stravolgere le nostre vite. Di cambiare.

Pensiamo al risveglio di una Nazione, come accadde con la Primavera di Praga, nella ritrovata libertà.

La natura che si risveglia.

Personalmente non amo molto questa stagione. Sarà per via della mia allergia alle graminacee sarà forse perché non amo scoprirmi molto sarà perché ti amo estate dove ormai si son già spogliati tutti e nessuno fa più caso a me!

Però adoro il fatto che le giornate sono più lunghe, le temperature miti e di conseguenza la possibilità di poter trascorrere più tempo all’aria aperta.

Dopo il torpore dell’inverno la natura si risveglia donando nuova vita alla terra, vestendola di colori ed avvolgendola di profumi.

La rinascita della natura influisce positivamente sull’umore e di conseguenza o in questa stagione anche noi “ci risvegliamo” e iniziamo a sentirci più attivi e vitali. La primavera è quindi considerata la stagione della rinascita.

La primavera è uno stato d’animo. E la mia ammirazione va a chi riesce a portarla sempre con sè, a non rinchiuderla nell’armadio. A chi non le fa fare il cambio di stagione. Mai.

Adoro la primavera

mi insegna di nuovo il passo leggero

di chi sa dove sta andando e perchè.

Caramagna

Una storia d’amore atroce

Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti... È finita e tuttavia ti amo furiosamente.”
Una storia d'amore atroce: "Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti... È finita e tuttavia ti amo furiosamente.”

-Una storia d’amore atroce-

Lei Camille Claudel: “ha ragione a pensare che io non sia molto felice qui: mi sembra di essere così lontana da lei! e di esserle completamente estranea! C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta.”

Lui Auguste Rodin: “Ci sono momenti in cui francamente credo che ti dimenticherò. Ma poi, in un solo istante, sento la tua terribile potenza. Abbi pietà, crudele. Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti. E no, l’atroce follia. È finita, non lavoro più, divinità famelica, e tuttavia ti amo furiosamente.”

Una storia d’amore atroce. Ma chi era Camille Claudel?

Camille nasce nel 1864 a Fère-en-Tardenois (Aisne). Di fatto primogenita perché il
primogenito maschio era morto, dopo di lei nasceranno Louise, la preferita di mamma e Paul, lo
scrittore. Non è una famiglia felice, lo stesso Paul scriverà che tutti litigavano con tutti e
racconterà della madre anaffettiva, che non li prendeva mai in braccio. Il padre, esattore delle
tasse, rigido e conservatore.

Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti... È finita e tuttavia ti amo furiosamente.”
Camille Cloudel

Camille Claudel si appassiona alla scultura fin dall’adolescenza e inizia a lavorare l’argilla nonostante la forte opposizione della madre. È tuttavia appoggiata dal padre che la aiuta a trasferirsi a Parigi per perfezionare la sua arte nell’Accademia Colarossi. Nel 1882, appena 18enne, affitta uno studio al 117 di rue Notre-Dame-des-Champs e studia insieme con altre giovani donne con lo scultore Alfred Boucher che tuttavia si trasferisce quasi subito a Roma per lavoro. Così Camille chiede ad Auguste Rodin di sostituirlo come maestro e nel 1883 entra a far parte della bottega parigina del maestro, al 182 di rue de l’Université..

Lui è Auguste Rodin, nato a Parigi il 12 novembre 1840, che diventerà uno dei più importanti scultori francesi della seconda metà dell’Ottocento, universalmente considerato uno dei padri della scultura moderna.

Lei vent’anni appena, lui quarantacinque. Lei, un giunco nel vento, lui un gigante buono. Camille Claudel, il viso incorniciato da riccioli ribelli, sprofondava in un vortice implacabile d’amore, alimentata dal furore giovanile e dalle paure represse che solo tra le braccia di lui smettevano di sembrare così minacciose. Lui la guidava, la esaltava, la proteggeva e la possedeva, beneficiando d’altro canto di questo fiume in piena che rinfrescava, giorno dopo giorno, la sua vita. Era la sua modella.

Auguste però continuava ad avere una relazione ufficiale con Rose Beuret. Lui ha 24 anni in più della donna e il loro rapporto era tumultuoso, con frequenti e violenti litigi causati dai rifiuti dell’uomo a troncare la relazione ventennale con Rose.

Claudel introduce nelle sue sculture temi come lussuria e sessualità, argomenti tabù per una donna a quell’epoca e pertanto la giovane deve affidarsi a Rodin per poter esporre e vendere le sue opere, ripagando l’amante con la collaborazione alle sue opere.

Musa, modella, amante.

Tra loro una c’era una profonda comprensione artistica: insieme frequentano molti intellettuali dell’epoca. Camille è gelosa, emotivamente violenta, intransigente, con una passione totalizzante.

Il 12 ottobre 1886, Rodin scrive una sorta di contratto, forse obbligato da lei: “Dopo l’esposizione partiremo nel mese di maggio per l’Italia e vi rimarremo almeno sei mesi, e sarà l’inizio di un legame indissolubile dopo il quale Mlle Camille diventerà mia moglie.” Rodin si barcamena tra la
passione per lei e la tranquilla Rose Beuret che non lascerà mai e che sposerà nel 1917.
Camille – come scrive lei stessa – gli darà tutto; probabilmente ha abortito un figlio suo.
Ce lo fa intuire Paul e lo scrive anche la pronipote, che ha dedicato la vita alla sua opera.

Tra questi tormentati sentimenti, Camille produce dei capolavori assoluti

Sakountala, La Valse, il busto di Rodin, Clotho e soprattutto l’Age Mûr. Una giovane donna implorante cerca di trattenere un uomo maturo che invece viene portato via da un’altra donna. Nella prima versione dell’opera la giovane lambiva la mano dell’uomo; nella seconda invece i due personaggi sono staccati. Facile pensare al triangolo amoroso con Rodin.
Qualcuno ha visto anche nella figuradell’uomo quella del padre.
Qualsiasi interpretazione si voglia dare, rimane un’opera meravigliosa e crudele.

Una storia d'amore atroce
Clotho Camille Cloudel
Una storia d'amore atroce: "Non ne posso più, non posso più passare un giorno senza vederti... È finita e tuttavia ti amo furiosamente.”
Age Mûr Camille Claudel

Una storia d’amore atroce: il confronto

Il confronto con la scultura di Rodin è sempre presente nelle cronache dell’epoca e
possiamo immaginare la fatica di Camille per trovare posto nel mondo maschilista dell’arte. La
prassi che vedeva i discepoli del maestro occuparsi di alcune parti delle sue opere non aiutava
certo. In alcuni lavori di Rodin vi sono certamente degli elementi di Camille. Rodin la sosterrà
sempre; anche quando sarà internata, non le farà mancare un aiuto economico (in forma
anonima) e vorrà dedicare una sala alle sue opere nella sua casa/museo.


Nel 1896 Camille scrive “[…] m. Rodin non ignora che molte persone malvagie hanno osato dire
che era lui a fare le mie sculture: perché allora far di tutto per accreditare questa calunnia?” e
ancora nel 1899 “Signore, leggo con stupore il suo resoconto del Salon in cui mi si accusa di
essermi ispirata a un disegno di Rodin per la mia Clotho. Non avrei problemi a dimostrarle che
la mia Clotho è un’opera assolutamente originale. […] La prego di pubblicare sul suo giornale la
piccola rettifica che le chiedo.”


Per Camille la scultura è tutto.

Per Camille la scultura è tutto: ne sono piene le lettere e i ricordi di chi l’ha conosciuta.
Se ha dei soldi, li spende per acquistare le materie prime e per pagare modelli e fonditori. Dal
manicomio scriverà alla cugina: “Lei che conosce il mio attaccamento alla mia arte non può
immaginare quanto abbia dovuto soffrire nell’esser di colpo separata dal mio caro lavoro […].”

La madre e la sorella Louise non comprendono la sua passione e non condividono il suo stile di
vita. Il padre invece cerca sempre di sostenerla, come il fratello Paul forse in maniera più
ambigua. Paul e Camille avevano da ragazzi un rapporto strettissimo, da qualcuno definito
anche morboso per la gelosia di Paul che, da cattolico intransigente, sarà molto duro e firmerà
con la madre la richiesta di internamento.

Una storia d’amore atroce: La rottura

La rottura del rapporto con Rodin, lascia un segno indelebile. Camille aveva vent’anni
quando lo aveva conosciuto; dopo tredici anni si ritrova sola a misurarsi con un mondo ostile nei
confronti di una donna che oltre a fare un mestiere da uomo, aveva avuto una relazione libera
con un uomo tanto più grande, condiviso con un’altra. Frequenta Debussy che terrà sempre
una copia di La Valse sul pianoforte, forse solo per ingelosire Rodin. Camille comincia a
trascurarsi e a sentirsi perseguitata dalla “banda Rodin”, barricandosi in casa e uscendo solo di
notte.
Tanto è stato scritto sui suoi deliri. Forse più facile per lei prendersela con quell’uomo a cui
aveva dato tanto, piuttosto che ammettere che era la sua famiglia ad averla fatta rinchiudere,
cosa che avviene il 10 marzo 1913, una settimana dopo la morte del padre. Una volta internata,
la madre non le farà mai visita; Paul è l’unico a farle visita talvolta, per quanto gli permettano i
numerosi viaggi dovuti alla carriera diplomatica. Complice la legge, madre e fratello le
impediscono per anni di incontrare e scrivere agli amici

Recentemente, le sue cartelle cliniche sono state rese pubbliche: sono piuttosto monotone sullo stato mentale; tuttavia i medici che si sono avvicendati nella direzione del manicomio sono concordi nell’affermare che non è una paziente pericolosa per sé e per gli altri e che tornare in famiglia (come lei stessa chiede) potrebbe solo aiutarla.

La madre si rifiuterà sempre di riprenderla in casa, né Paul farà mai qualcosa in tal senso. In una lettera del 1915 Camille scrive: “Mio caro Paul, ho scritto molte volte alla mamma, a Parigi, a Villeneuve, senza riuscire a ottenere una parola di risposta.
E anche tu, che sei venuto a trovarmi alla fine di maggio e ti avevo fatto promettere di occuparti di me e di non lasciarmi in un tale abbandono. Com’è possibile che da allora tu non mi abbia scritto una sola volta e non sia più tornato a trovarmi? Credi che mi diverta a passare così i mesi, gli anni, senza nessuna notizia, senza nessuna speranza! Da dove viene tale ferocia? Come fate a voltarvi dall’altra parte? Vorrei proprio saperlo
.”

Quando Camille muore nel 1943 al suo funerale non ci sarà nessuno. Qualche anno dopo, la nipote scoprirà che Camille è stata sepolta in una fossa comune.
Una storia d’amore atroce! Una donna lasciata morire crudelmente!
I manicomi come di “una tragedia di cui tutti dovremmo provare vergogna”, riferendosi alle persone fatte rinchiudere dai familiari per questioni di eredità, ai mariti che si liberavano in questo modo delle mogli, a quanti costretti ad entrare sani in manicomio furono poi travolti davvero dalla malattia mentale.

Fonti: Enciclopedia delle donne, Elle magazine

Plinio Meriggiola Artista

Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola Artista

Plinio Meriggiola

Plinio,
per tutti basta questo nome per evocare un amico. Plinio, al secolo, Meriggiola, è un artista assoluto.

La sua storia personale lo ha forgiato nei decenni trascorsi a lavorare, relazionarsi, sognare e realizzarne qualcuno. In mezzo a questi sogni troviamo un libro di poesie “Quando il cielo è grigio” edito da Tracce ormai introvabile e fugace come uno schizzo delle sue pennellate.

Appunto, pennellate, perché di quest’arte parliamo.

Lo riconosci subito, l’occhio viene rapito istantaneamente quando entrando in uno studio medico di Montesilvano trovi appesi con nonchalace due suoi quadri e con altrettanta disinvoltura il Vescovo di Pescara ha fatto realizzare dall’artista quadri e murales all’interno di alcune Chiese, come nel convento della Madonna dei sette dolori.

Ma sono sicura che il mio amico Plinio al quale sono legata dal filo invisibile dello Spirito e dell’arte, perché è sempre Lui che ci mette nel cuore le persone a cui vogliamo bene nel profondo, dirà che non è importante fare troppe lodi: io ci sono, tu ci sei e allora stiamo contenti!

Plinio Meriggiola

L’Artista

Le sue pennellate fugaci ma intense per profondità dei colori fanno cogliere immediatamente l’essenziale dell’opera stessa sfumando il superfluo come il suo modo di essere uomo, amico, presenza silenziosa, amorevole,  ma soprattutto tanto generosa.

Il tratto forte e deciso ma anche delicato quando è necessario, frutto dell’anima di questa terra d’Abruzzo. Poi altri quadri come sparsi al vento per ogni dove con paesaggi, scorci suggestivi e qualche animale ma poi rari e straordinari QUADRI onirici dove sgorga potente la vastità della sua anima.

L’uomo

Giá, Plinio è schivo, a tratti introverso ma assolutamente amante della compagnia ma a giuste dosi. È assente con delicatezza che si fà amore.

Plinio Meriggiola

Cosi lo vedi timidamente partecipare ad estemporanee ma poi lo scovi in un angolo sperduto di questa cara terra d’Abruzzo a ‘mastriare’ con i suoi mille pennelli ed affianco il suo fedele scooter verde, ovviamente verniciato da lui!

Plinio Meriggiola

Attenti! Potreste trovare Plinio anche sotto casa vostra! Perché un artista pieno di Spirito vede ciò che altri non notano nemmeno. Grande Plinio!

Manuela Di Dalmazi, Maurizio D’Amato

Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola
Plinio Meriggiola

Ascolto il Natale. Poesia. Voce di Rodolfo Lettore

Ascolto il Natale
Ascolto il Natale

Dalle nebbie del tempo
dove memoria d’uomo usa perdersi
ascolto il Natale,
fa male!
Puntualmente squarcia la malinconia
ancestrale nostalgia
tra il tintinnare
delle bancarelle lungo le strade
vaga genuflessa l’anima
affamata di regali
a colmare quell’Assenza.
Vuoto di quel qualcuno
che il posto a tavola fa digiuno,
quel regalo muto
più di nessuno
rimane solo rimpianto
che ammanto
con luci sfavillanti
e palline eleganti.
Ascolto il Natale,
ahimé non siamo più in tanti!
Ma guardo i bambini
piccoli angeli di luce
aspettano un vecchio omone
con affezione,
è Babbo Natale “rennato”
con il regalo desiderato.
Ascolto la loro gioia
è fiume d’acqua viva
che spazza via
ogni malinconia
dolce carezza,
lievito madre.
Nel segno della croce
alla fine della messa
ti ascolto Gesù,
eccoti!
Invoco il tuo Natale,
la tua misericordia
circonda
una calda coperta d’amore
attorno al mondo,
rimbocca
ogni singola piaga
smarrita
sanguinante e sola,
come padre al figlio
e allo Spirito Santo
Ascolto il tuo Natale
Ecco la pace, l’armonia
E gioia sia!

(Da: È tempo di disobbedire LFA Publisher)

Ascolto il Natale. Papa Francesco:

Nella pandemia le luci di Natale ci invitano alla speranza.

Natale non è una “stonatura” ma è la festa della compassione e della tenerezza.

Ascolto il Natale
Ascolto il Natale

Le luci del Natale saranno sommesse per le conseguenze della pandemia. Per questo siamo chiamati a interrogarci e a non perdere la speranza”. Lo ha detto papa Francesco ricevendo in udienza al Palazzo apostolico vaticano i partecipanti all’iniziativa “Christmas contest“, concorso promosso dalla Fondazione Pontificia Gravissimum Educationis e dalle Missioni Don Bosco Valdocco, che dà voce ai giovani invitandoli a creare canzoni inedite ispirate al Natale e ai suoi valori.

“La festa della Nascita di Cristo non è una stonatura rispetto alla prova che stiamo vivendo – ha osservato il Pontefice -, perché è per eccellenza la festa della compassione, della tenerezza. La sua bellezza è umile e piena di calore umano.

Secondo Francesco, “la bellezza del Natale traspare nella condivisione di piccoli gesti di amore concreto.

Non è alienante, non è superficiale, evasiva; al contrario, allarga il cuore, lo apre alla gratuità, al dono di sé, e può generare anche dinamiche culturali, sociali ed educative”. IL TESTO DEL DISCORSO

Ascolto il Natale. Il patto Educativo Gobale

“È con questo spirito – ha ricordato il Papa – che abbiamo dato vita al Patto Educativo Globale. Un alleanza educativa ‘per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna’”. E per il Papa, “per raggiungere questi obiettivi ci vuole coraggio: ‘Il coraggio di mettere al centro la persona’ e di ‘mettersi al servizio della comunità'”.

“Ci vuole coraggio e anche creatività”, ha aggiunto. Ad esempio, “voi avete composto nuove canzoni natalizie e le avete condivise per un progetto più grande, un progetto che crede nella bellezza come via di crescita umana, per sognare insieme un mondo migliore”.

Fonte: Avvenire.it

Ascolto il Natale “Listening to Christmas”

From the mists of time
where human memory uses to get lost
I listen to Christmas,
it hurts!
Punctually pierces the melancholy
ancestral nostalgia
between the jingle
of the stalls along the streets
the soul wanders kneeling
hungry for gifts
to fill that Absence.
Empty of that someone
that the place at the table is fasting,
that dumb gift
more than anyone
only regret remains
what a mantle
with sparkling lights
and elegant balls.
I listen to Christmas,
alas we are no longer many!
But I look at the children
little angels of light
they’re waiting for a big old man
with affection,
is Santa Claus “rennato”
with the desired gift.
I listen to their joy
it is a river of living water
that sweeps away
every melancholy
sweet caress,
mother yeast.
In the sign of the cross
at the end of the mass
I listen to you Jesus,
here you are!
I invoke your Christmas,
your mercy
surrounds
a warm blanket of love
around the world,
tucks up
every single plague
lost
bloody and alone,
as father to son
and to the Holy Spirit
I listen to your Christmas
Here is peace, harmony
And joy be it!

(Da: È tempo di disobbedire LFA Publisher)

In questa piccola città (Pescara)

Plinio Meriggiola
pescara
ph. Maurizio D’Amato

Pescara

Questa piccola città è soglia
risveglio tra le ciglia dei marinai
Scorre il fiume sotto calpestii
di premure già fatte fogliame

Tra le fatiche d’umano vivere
nella follia del sopravvivere
la bianca Maiella in lontananza
non può far a meno di sorridere.

© Manuela Di Dalmazi

Ph Maurizio D’Amato

Pescara: 5 curiosità che ti faranno innamorare

Siamo abituati a un tipo di turismo frenetico, quello che ci porta a visitare località e monumenti come fossero segni di spunta da apporre sul patentino del turista. La bellezza di una località è molto più di questo, ma sta innanzitutto nella sua storia, nella sua cultura e nelle tradizioni che ne costituiscono e forgiano l’identità.

In questo senso è interessante conoscere Pescara, una delle principali città dell’Abruzzo, con tutta la sua ricchezza storia, culturale, paesaggistica e naturalistica.

Se volete conoscere meglio la città di Pescara vi consigliamo di dare un’occhiata a questa guida su cosa vedere a Pescara per la riscoperta degli angoli meno noti, ma forse più caratteristi e per questo più belli, della città. Una città che vale la pena scoprire e riscoprire non solo per le sue spiagge e la sua collocazione turistica strategica, ma soprattutto per le sue origini e la sua storia millenaria.

Per apprezzare alcuni tratti importanti di questa storia, dalle sue origini fino agli anni più recenti, abbiamo raccolto 5 curiosità su Pescara che siamo sicuri saranno in grado di farvi innamorare della città. Decidendo di trascorrervi un periodo di vacanza. Dal quale difficilmente sarà possibile separarsi e verso il quale, invece, si sentirà il profondo bisogno di tornare.

Pescara; 5 curiosità sulla storia e la città

#1 L’origine del nome

Perché Pescara si chiama in questo modo? Il nome nasce dal fiume che nel tratto finale si chiama in questo modo e alle cui foci sorge la località di Pescara. Località che però non ha avuto sempre questo nome, essendo in epoca romana denominata come Aternum. L’utilizzo del nome Aternum rimase fino al XII secolo per poi essere sostituito definitivamente da Pescara. Ma cosa significa Pescara? Sembra che il termine faccia riferimento a ‘luogo pescoso’, ma ci sono anche ricostruzioni che fanno risalire il termine al greco ‘pino’ e legato quindi a questa zona che era, appunto, ricca di pini.

#2 Città di poeti e intellettuali

Pescara è la città che ha dato i natali a due grandissimi intellettuali e poeti italiani: Gabriele D’Annunzio ed Ennio Flaiano. Anche per questo molti dei luoghi simbolo della città, dal ponte Ennio Flaiano che collega le due sponde del fiume al Museo casa natale Gabriele D’Annunzio, sono dedicati a questi due celebri pescaresi.

Poesia dialettale: “Quant’è vero Gesù Cristo

#3 Il parrozzo

La bellezza dell’Abruzzo si mostra in tutto il suo splendore anche quando ci si siede a tavola. E quando ci si trova a Pescara non si può non provare il celebre Parrozzo. È un dolce moderno, nato solamente nel 1920 dalla fantasia del pasticcere Luigi D’Amico e che è preparato e gustato durante il periodo delle feste di Natale. L’idea di questo dolce nacque dalla volontà di creare un dolce che ricordasse il cosiddetto pane rozzo, ovvero la pagnotta di farina di granturco dei contadini. Da qui il Parrozzo, il dolce dalla forma semi sferica preparato con le uova, che conferiscono internamente il colore giallo, tipico della mollica del pane, le mandorle (per la parte grezza del pane) e il rivestimento di cioccolato fondente per richiamare la crosta di colore scuro.

#4 Il Festival del Jazz

Da più di cinquant’anni (il primo evento si tenne nel 1969) Pescara è sede del Festival del Jazz. È un appuntamento dalla caratura internazionale, essendo annualmente oggetto di attenzione e partecipazioni anche di appassionati provenienti dai diversi Paesi europei. La manifestazione Pescara Jazz si svolge durante il mese di luglio ed è stato il primo evento italiano dedicato a questo genere musicale e ancora oggi è seguita dai jazzisti più importanti a livello internazionale e da tutti gli appassionati del genere.

#5 Manifestazioni sportive

Pescara non è solo cultura, enogastronomia e arte, ma anche sport e manifestazioni internazionali dedicate al beach volley e alle regate. Qui infatti annualmente si svolgono il Torneo Internazionale di Beach Volley e la Regata dei Gonfaloni. Eventi di grande interesse sia dal punto di vista atletico che di suggestione e fascino, specie per quel che riguarda la regata che vede la partecipazione di numerosi equipaggi a bordo delle tradizionali barche a remi.

Fonte: Visitare Abruzzo

Scarpette rosse 👠👠 25 Novembre

scarpette rosse

Scarpette rosse

Poesia “25 Novembre” (scarpette rosse)

La luce è spenta, grave
nel mio balcone
da quel dì,
quando mi chiudesti
vergine
nel margine del seme
del tuo disordine.

Affanna, ancora muto
il mio fiato
alla vigilia dei tuoi atti.

Tremo
sulla traiettoria delle mie gambe
quando il segno rauco
delle tua mano
ancora
dirime sul sesso,
di gesso, subisso.

Non mi rimane niente…
nemmeno l’occhio vitreo
di un cieco
che sogna nel ticchettio
del suo bastone.

La luce è spenta, grave
nel mio balcone.

© Manuela Di Dalmazi

scarpette rosse
sorelle Mirabal

Chi erano le sorelle Mirabal? 

Le sorelle Mirabal, brutalmente uccise dal regime del dittatore Trujillo il 25 novembre del 1960 (Fonte: ansa)

Si è scelta la data del 🎗️ 25 novembre per la giornata sulla violenza sulle donne per ricordare 3 sorelle coraggiose, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), assassinate brutalmente il 25 novembre del 1960 da mandanti del dittatore

Trujillo, il dittatore che sottomise la Repubblica Dominicana tenendola nel caos per più di 30 anni in uno dei regimi più sanguinari dell’America Latina.

Le sorelle Mirabal avevano tentato di contrastare il regime di Trujillo e, per questo, furono assassinate.

L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle».

La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek.

Scarpette rosse

Perchè si usa il simbolo delle scarpette rosse per indicare la violenza contro le donne?
Le Scarpette Rosse, nate nel 2009 da un’idea dell’artista messicana Elina Chauvet come installazione per denunciare gli abusi sulle donne e il femminicidio, sono da allora diventate il simbolo della lotta per i diritti delle donne e contro la violenza di genere.
La sfida è mantenere viva l’attenzione sul problema per dare alle vittime il coraggio di denunciare, e garantire una rete di sostegno adeguata che renda loro possibile liberarsi da questa oppressione e da questa situazione di pericolo.

👠👠25 Novembre

La luce è spenta, grave
nel mio balcone
da quel dì,
quando mi chiudesti
vergine
nel margine del seme
del tuo disordine.

Affanna, ancora muto
il mio fiato
alla vigilia dei tuoi atti.

Tremo
sulla traiettoria delle mie gambe
quando il segno rauco
delle tua mano
ancora
dirime sul sesso,
di gesso, subisso.

Non mi rimane niente…
nemmeno l’occhio vitreo
di un cieco
che sogna nel ticchettio
del suo bastone.

La luce è spenta, grave
nel mio balcone.

© Manuela Di Dalmazi

Le sorelle Mirabal, brutalmente uccise dal regime del dittatore Trujillo il 25 novembre del 1960 (Fonte: ansa)

Si è scelta la data del 🎗️ 25 novembre per la giornata sulla violenza sulle donne per ricordare 3 sorelle coraggiose, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), assassinate brutalmente il 25 novembre del 1960 da mandanti del dittatore

Trujillo, il dittatore che sottomise la Repubblica Dominicana tenendola nel caos per più di 30 anni in uno dei regimi più sanguinari dell’America Latina.

Le sorelle Mirabal avevano tentato di contrastare il regime di Trujillo e, per questo, furono assassinate.

(𝑆𝑡𝑎𝑡𝑒𝑚𝑖 𝑖𝑛 𝑙𝑢𝑐𝑒!)”Sorridere”di Filippo Fenara

statemi in luce

Statemi in luce!

Caro Filippo oggi sarebbe stato il tuo compleanno… purtroppo non riesco a trattenere le lacrime e so che tu mi diresti di stare in luce…

Difficile capire perché sei andato via, mi piace pensare che Dio ti ha voluto con lui come Angelo nella schiera degli angeli che combattono per far vincere la verità e l’amore soprattutto in questo periodo storico che sta portando alla disumanizzazione.

Avevi sofferto tanto ma sapevi amare tutti e tutto soprattutto donare, donare la luce a tanti come me ed altri poeti, scrittori, musicisti, artisti di ogni genere nei quali tu vedevi dei talenti, dei doni nascosti e li mettevi in luce.

Quanto amore hai donato ed ora quanto amore Dio ti sta donando. Lo so che stai in Luce, chi più di te, ma ti prometto di esserne portatrice. Almeno ci provo.

Auguri amico mio. Ti abbracciodiluce nell’infinito per sempre. Manuela.🌈

🌹

Poesia

(Statemi in luce!)

“Sorridere”

Ed il modo in cui ardemmo di forza
di gravità
come hai saputo esser così mia
no non lo si sa, non si sa
se morissi spero
d’incontrarti in un’altra vita
per innamorarmi ancora
sfidare il tempo assieme te
senza senza perderci mai
come la prima volta che
ti vidi sorridere,
qualcosa di speciale
c’è tra noi
e non si può
buttare via
è qualcosa di speciale
che conosci anche te
tra noi nulla è impossibile

Spero d’incontrarti in un’altra vita
in un posto che non c’è
come la prima volta che ti vidi sorridere.

© 15/03/2021 – Lemiecosepuntonet blog di Filippo Frenara

Poesia

"UN RAGGIO DI PACE"

D’un fiato l’anima
tra lame del male
serrò il suo cuore
la sua ferita,
ma in un approdo di luce
cucita da un raggio di pace
tornò a risplendere
la sua cicatrice.

Poesia dedicata a Filippo Fenara da Silvia De Angelis

Scivola un’oscura cortina

sul tuo volto

nell’artificio interiore

d’un’allusione immotivata.

Sensibili impronte digitali

hanno svelato

cangianti pregi letterali

rivolti a codici linguistici vicini.

Sfumate iridi assottigliate nel declino

Interpretano emblemi sacri

nella dicotomia dei tuoi angeli

perduti e ritrovati

nel grande buio

ove non smarrirai i tuoi passi.

@Silvia De Angelis 2021

Varchi

Per #fotopoetando poesie sulle immagini.

“𝘝𝘢𝘳𝘤𝘩𝘪”

𝘓𝘢 𝘱𝘰𝘵𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘴𝘤𝘢𝘳𝘥𝘪𝘯𝘢𝘯𝘵𝘦
𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘮𝘰𝘳𝘦
𝘢𝘱𝘳𝘦 𝘷𝘢𝘳𝘤𝘩𝘪 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘦𝘣𝘣𝘪𝘢
𝘴𝘰𝘴𝘱𝘪𝘯𝘵𝘢
𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘶𝘳𝘪𝘰𝘴𝘪𝘵𝘢̀ 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘧𝘰𝘳𝘮𝘦,
𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘤𝘪𝘰
𝘩𝘢 𝘣𝘶𝘤𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘭𝘪 𝘤𝘪𝘳𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢.
.

(Fotografia: Maurizio D’Amato )

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.

For #fotopoetando poems on images.

“Gates”

The unhinging power
of love
opens gaps in the fog
pushed
from the curiosity of shapes,
a kiss
has punctured the void that surrounds them.

Director of photography: Maurizio D’Amato

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Vieni, raccontami una poesia 🌹

Arte, poesia e sentimenti finalmente gustati in un circolo di amici GArt Gallery Pescara con l’intento di raccontarsi e confrontarsi attraverso la poesia della vita.♥️

Ringrazio Francesco Di Rocco Francesco Di Matteo
Ph: Maurizio D’Amato

Bagna le mie labbra” di Manuela Di Dalmazi

Bagna le mie labbra
son secca di fiume,
l’umido e la carne
nell’affondo trascina
memorie da baciare
sulle linee del tuo collo.

Si fa grave il palpito
nel brusio dell’acqua,
tra grembi dei filari
godere nell’intimo
l’effluvio dei sospiri
racchiusi tra le labbra.

I MIEI PENSIERI di Sandra de Felice

Dove sono fermi i miei pensieri …
Erano steli di rose profumate
senza spine,
indossavano i colori sfumati del mare
e il sapore selvaggio del vento
e nei miei giorni
leggiadri aleggiavano.
Sono fermi adesso,
nel letto sgualcito dei ricordi
dove l’anima indossa
un velo di malinconia,
restano i miei pensieri
appoggiati ad un cuscino disilluso,
di solitudine,
in silenzio…

TUTTO PASSA
(ANCHE NOI) di Giulia Madonna

I giorni passano,
la vita passa,
ma questo dolore,
che mi porto dentro,
non sparisce.

Quel mio provare e riprovare,
quel mio tentare e ritentare
quel mio insistente bisogno d’amore
più da dare che da ricevere,
quando passerà?

Non sono più bambina
ma ho l’appetito di una bambina,
la voglia di essere felice,
il desiderio di non fermarmi a sognare.

Ma le incrocio tutte io
le persone distratte,
le persone piene di sé,
le persone non persone
vuote della loro strafottenza.

E quanto mi fanno male,
sempre così,
sempre nella stessa maniera,
senza rispetto,
senza anima,
senza speranza.

Ma nonostante la delusione
io non rinuncio,
non mi fermo e aspetto,
perché so che un domani migliore
ci sarà,
anche per me.


AFORSIA e FUORISMI

Dall’Abruzzo con furore. Da Pescarese d.o.c. l’espressione 𝘧𝘶𝘰𝘳𝘪 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘤𝘤𝘪𝘢 mi è sempre piaciuta e in generale mi piace accogliere le forme dialettali ma sono pur sempre una scrittrice perchè, ahimè, per mia fortuna o per mia sfortuna amo scrivere in versi.

Mi capita sempre più spesso di giungere al termine di pensieri strambi, su base esperienziale sarà stata l’infanzia traviata dalle suore o gli effetti delle farfalle nello stomaco combinate con il cortisone per cui vado un po’ per l’appunto 𝘧𝘶𝘰𝘳𝘪  “fuorisma” , fuori dall’immaginazione incontrollata di aforismi improbabili.

L’aforisma comunque è una cosa seria da non confondere con la freddura ma a mio modesto parere può rientrare magicamente nella poesia. Perchè? Come diceva Karl Kraus agli inizi del Novecento, “L’aforisma non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezza” .  Aggiungo io, induce a riflettere, induce ad un ragionamento toccando le corde dell’anima e per questo porta in se il germe della poesia. Dirò di più, si sposa benissimo con il teatro, il racconto, il sistema filosofico, il trattato scientifico, il manuale di comportamento e persino con la preghiera, lo slogan pubblicitario o la barzelletta.

Il progresso tecnologico della comunicazione  ha, secondo me, segnato un’involuzione nell’essere umano del terzo millennio: sms, post, chat, emoji, hanno talmente liofilizzato il lessico spingendolo verso l’avventata frenesia dove azzerati i contenuti, a volte anche le vocali, mi auguro sia solo temporaneamente.

Nella buona sostanza ho pensato di racchiudere la predetta espressione dialettale pescarese  𝘧𝘶𝘰𝘳𝘪 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘤𝘤𝘪𝘢 in AFORSIA e FUORISMI, fuori e dentro la poesia, fuori e dentro l’aforisma intersecandoli l’una con l’altra in ogni possibile direzione di verso. Possono essere ironici, polemici, romantici, di denuncia, d’amore, ed in qualsiasi forma dialettale perchè ha questa duplice funzione, ossia, anche di tramandare i nostri meravigliosi dialetti d’Italia.
Fuori e dentro l’enigma della vita dove abita l’aforisma come parassita o come seme.

Buon ✌️Fuorisma✌️ a tutti.

Manuela Di Dalmazi

Intanto tu, abbracciami.

Abbracciami
quando la notte
dibatte le tenebre
sui nostri corpi manipolati e
la luna piange l’arsenale
del nuovo ordine neo liberale.

Abbracciami
in questa forma
di coazione violenta
non farmi dormire
tra orde di morti vivi e
sangue di schiavitù antiche
come stelle caduche.
(Loro non vogliono la libertà
in cambio della sicurezza.)

Abbracciami, ho paura
di questa follia globale
d’eugenetica misura.

Abbracciami forte
talmente forte da
tenermi sveglia
che quel che rimane
sia ancora un sospiro
lanciato all’orizzonte
alle pendici d’un filo d’erba.

Fammi ancora sperare
in un prodigio d’amore.

Intanto tu, abbracciami.

©Manuela Di Dalmazi

Meanwhile, you, hug me

hug me
when the night
the darkness flounders
on our manipulated bodies e
the moon weeps the arsenal
of the new neo-liberal order

hug me
in this form
of violent coercion
don't make me sleep
among hordes of living dead and
blood of ancient slavery
like falling stars.
(They don't want freedom
in exchange for safety.)

Hug me, I'm afraid
of this global madness
of eugenics measure.

hug me tight
so strong from
keep me awake
than what remains
is still a sigh
launched on the horizon
on the slopes of a blade of grass.

Let me still hope
in a prodigy of love.

Meanwhile, you, hug me.

Recensione silloge poetica.

Recensione silloge poetica 𝗘̀ 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝘀𝗼𝗯𝗯𝗲𝗱𝗶𝗿𝗲

 Recensione silloge poetica “È tempo di disobbedire” a cura di Armando Saveriano.

È tempo di ringraziare “È tempo di disobbedire”

Recensione silloge poetica 𝗘̀ 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝘀𝗼𝗯𝗯𝗲𝗱𝗶𝗿𝗲
Manuela Di Dalmazi libri

Ringrazio di cuore Armando Saveriano , per questa palpabile recensione alla mia ultima silloge poetica È tempo di disobbedire Lfa Publisher estremamente profonda ed intellettuale che scava in ogni angolo della mia opera.

Recensione silloge poetica È TEMPO DI DISOBBEDIRE – Manuela Di DalmaziLFA Publischer 2020 PP 142

Le parole di Armando Saveriano.

Sullo sfondo di una cultura che anche prima della Pandemia planetaria accusava sradicamento, e di una civiltà imbozzolata nelle proprie ‘liquide’ nevrosi, si erge la indissolubile spiritualità di una poeta.
Partendo dall’imprevedibile, dall’inaspettato, dal dolore, intreccia la propria vita con la conversione degli egoismi, degli impulsi ambiziosi e ciecamente regolati dalla Vanità, e delle sterili, inflessibili monadi del privato, in una direzione comunitaria tesa al recupero dei valori e degli ideali ormai alla deriva, nella ricerca di un Lebensplan che tien conto dell’esempio della Arendt, della lezione del neokantiano Hans Vaihinger e di Adler e non ultimo di Henry David Thoreau.

È tempo di disobbedire alla morte. Ma quale morte?

Nella silloge poetica, la ‘disobbedienza’ del titolo è lo stimolo vitale per le speranze future da strappare con i denti e con le unghie, opponendo allo squallore delle brutture e al desolante quadro delle deresponsabilizzazioni (anche in seno alla famiglia) la reattività tenace e construens, perché così comincia il rilancio di un’esistenza fuor di ogni anomia, imbracciando le armi intellettuali e socio-emotive di Ungehorsam und Widerstand.


Disobbedire quindi alla morte dell’anima.

La poesia ha il potere di modificare il destino biologico e psichico?
La risposta dell’avvocata originaria di Guardiagrele in provincia di Chieti è di cauta e razionale affermazione: come Nelo Risi, Di Dalmazi ha da fare i conti con l’imbrattante mota della delusione storica e con i morsi a tradimento del tragico capriccio esistenziale dell’inaspettato, che sa essere ben crudele.

Ma preda degli oscuri demoni di cui non sempre è consapevole, l’uomo si dibatte in una spirale di ostilità e di malinteso; per tentare di riparare la sua natura, occorrerebbe prima cambiare le condizioni sociali.

E’ una parola, obietteranno gli scettici. E qui mi vien di citare un aneddoto: durante una conferenza sul tema, una donna del popolo, dall’intelletto acuto e audace, illo tempore prese la parola per affermare:
” Se è vero che non si possono cambiare, specialmente in tempi brevi, le condizioni sociali, io posso modificare, intanto, il modo con cui allevo i miei figli, e da domani comincerò ad agire come ci ha spiegato Adler.”

Ora a me sembra che questo spirito combattivo sia proprio della Di Dalmazi, che tra l’altro è Presidente dell’Associazione Accademia Salute e Benessere di Pescara (dove vive), e legale dell’Associazione “L’abbraccio dei Prematuri” dell’ospedale civile della città abruzzese che diede i natali a Gabriele D’Annunzio e per la quale struttura profonde risorse ed energie nel campo del volontariato.

È tempo di disobbedire: la cura dei versi.

Nessun dramma è mai irrisolto, sembra dirci attraverso i suoi versi, e la sofferenza è palestra per una fede ottimistica, alla luce del fatto che ogni diversa abilità, fisica e/o psichica, possa essere compensata e non confinata nel disvantaggio razzistico della cosiddetta ‘minorazione’.

La poeta.

La poeta è concreta nel pensare e nell’agire e metabolizza persino gli eventuali fallimenti, virgolettandoli e considerandoli nuovi punti di partenza.

Ella respinge il narcisismo del dolore e il tranello della compassione e isola ogni urto regressivo tendente, subdolo, alla resa o al minimo compromesso da refugium ipocritamente morale.

La silloge.

Il suo corposo volume, dalle insolite dimensioni di album, di almanacco, di abbecedario, quasi aderente all’ideale façon del maestro dell’estetica Gillo Dorfles.

Si dispone ad un verso polifunzionale, di natura empatica, di catturante e ‘pedagogica’ intensità.

Risulta di agile accesso, accattivante, e che deriva da tutte le possibili stratificazioni della sua esperienza personale e sociale.

L’ampio cantiere della sua attività creativa la conduce nei viali istruttivi della tradizione favolistica e fiabesca tra ammiccamenti mai iperletterari a Grimm, Perrault, a Rodari (con spigolature di ironia ferocemente divertita e crudamente allegorica) e ad echi sottili di Calvino, Palazzeschi.

Negli haiku la pervasività di Ogiwara Seisensui, Mario Chini, Luigi Oldani, Mariella Bettarini, G. Bartolini Luongo.

Che abbia abboccamenti metrici o persuasioni in libera composizione, Di Dalmazi non tradisce i suoi propositi di intrattenimento riflessivo, attraverso una prosodia nel rapporto poesia/prosa/teatro, grazie a versi diretti all’ascolto armonico, produttore dell’immaginario visivo della fantasia.

Il bel fluire ritmico la protegge dalle griglie formali, la indirizza ad una pronuncia flessibilissima con tutto l’impatto del vibrato di un pensiero gestuale, di una emozione dai bagliori repentini.

E questo sia nell’invenzione prodigiosa delle poesie “infavolate” (in particolare Cappuccetto rosso e Hansel e Gretel), sia nella ripartizione delle ‘poesie virulente’ o di quelle dedicate all’amore universale a tutto tondo, compresa la terra delle origini con affioramenti dell’inconscio e catene archetipiche.

Vasta e intrigante la sezione dell’haiku, dai riflessi plurimi e dall’aura d’innocenza della parola, che incanta, fa sostare o piacevolmente trafigge. “…Non è il posto del cuore/anche se esso lo abita/ci si sveglia ogni mattina/a combaciare gli assoluti./Non è il posto dei sentimenti/anch’essi ci vivono/tra cesti di ossa rotte/e fotoni di poesia./Non è il posto della gioia/tristezza/né della rabbia/o della solitudine./Siamo uno./Tantomeno il posto della passione/sgorgo purificato che più non bagna./Non è il posto della mente/della razionalità,/l’amore non fa calcoli./Ma è il posto dove anela lo spirito/codice già scritto nei cieli/donde nudi/come trasparenza d’aria/attraversammo deserti/sopravvivendo alle amputazioni/ove commiato non esiste…”;

“Sono io il mio tempo/ senza spazio/galleggio/in bilico sui bordi./Mi confesso in parole fluide/fatte di fecondi mutamenti/lenti/tralci di rose profumate./Su una meravigliosa terra/smossa/”Gaia”/che crea senza vagito./A scovare l’imperfezione/che rimanda/alla bellezza./Nel silenzio mistico della nascita.”;

“…Ti sento ridacchiare/ maledetta notte/anche tu non hai più nulla da offrirmi/anche tu stanca dei miei scarti/legati come aborti,/arti ritorti/a trattenermi i polsi/tra labirinti di lenzuola avulsi…”/;

“ Lasciatemi andare/così, libera/da ogni cosa/umana e disumana,/libera di volare/negli spazi di luce/intravista di scorcio./Lascio solo/il fruscìo dei miei versi/sono la mia storia/troverete/poche virgole come erba tagliata,/poche parentesi tra zolle di terra,/qualche punto interrogativo deserto/e molti punti e capo/al sorgere del sole…”;

“E spera sempre/non getta mai la spugna/l’onda che torna.”;

“Forza è vita/che respira i silenzi/nei verdi spazi”;

“Un soffio muove/erbacce del passato/spiantale bene”;

“Legge la luna/è zingara la foglia/magia nera”;

“La notte ardente/cielo rosso vermiglio/bruciano stelle”;

“Tagliente pietra/brilla tra l’erba secca/luce d’inerzia”;

“Acqua salata/è mulinello il pianto/buco del mare”;

”A randa randa/poppavia l’albero/vela di taglio”.

Recensione silloge poetica

ARMANDO SAVERIANO



recensione silloge poetica è tempo di disobbedire
Libro 𝗘̀’ 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝘀𝗼𝗯𝗯𝗲𝗱𝗶𝗿𝗲

Recensione silloge poetica “È tempo di disobbedire” a cura di Armando Saveriano

Ringrazio di cuore Armando Saveriano , per questa bellissima recensione alla mia ultima silloge poetica È tempo di disobbedire Lfa Publisher estremamente profonda ed intellettuale che scava in ogni angolo della mia opera.

È TEMPO DI DISOBBEDIRE – MANUELA DI DALMAZI – LFA PUBLISHER 2020 PP 142 Euro 19,50

Sullo sfondo di una cultura che anche prima della Pandemia planetaria accusava sradicamento, e di una civiltà imbozzolata nelle proprie ‘liquide’ nevrosi, si erge la indissolubile spiritualità di una poeta che, partendo dall’imprevedibile, dall’inaspettato, dal dolore, intreccia la propria vita con la conversione degli egoismi, degli impulsi ambiziosi e ciecamente regolati dalla Vanità, e delle sterili, inflessibili monadi del privato, in una direzione comunitaria tesa al recupero dei valori e degli ideali ormai alla deriva, nella ricerca di un Lebensplan che tien conto dell’esempio della Arendt, della lezione del neokantiano Hans Vaihinger e di Adler e non ultimo di Henry David Thoreau. La ‘disobbedienza’ del titolo è lo stimolo vitale per le speranze future da strappare con i denti e con le unghie, opponendo allo squallore delle brutture e al desolante quadro delle deresponsabilizzazioni (anche in seno alla famiglia) la reattività tenace e construens, perché così comincia il rilancio di un’esistenza fuor di ogni anomia, imbracciando le armi intellettuali e socio-emotive di Ungehorsam und Widerstand. La poesia ha il potere di modificare il destino biologico e psichico? La risposta dell’avvocata originaria di Guardiagrele in provincia di Chieti è di cauta e razionale affermazione: come Nelo Risi, Di Dalmazi ha da fare i conti con l’imbrattante mota della delusione storica e con i morsi a tradimento del tragico capriccio esistenziale dell’inaspettato, che sa essere ben crudele. Ma preda degli oscuri demoni di cui non sempre è consapevole, l’uomo si dibatte in una spirale di ostilità e di malinteso; per tentare di riparare la sua natura, occorrerebbe prima cambiare le condizioni sociali. E’ una parola, obietteranno gli scettici. E qui mi vien di citare un aneddoto: durante una conferenza sul tema, una donna del popolo, dall’intelletto acuto e audace, illo tempore prese la parola per affermare:” Se è vero che non si possono cambiare, specialmente in tempi brevi, le condizioni sociali, io posso modificare, intanto, il modo con cui allevo i miei figli, e da domani comincerò ad agire come ci ha spiegato Adler.” Ora a me sembra che questo spirito combattivo sia proprio della Di Dalmazi, che tra l’altro è Presidente dell’Associazione Accademia Salute e Benessere di Pescara (dove vive), e legale dell’Associazione “L’abbraccio dei Prematuri” dell’ospedale civile della città abruzzese che diede i natali a Gabriele D’Annunzio e per la quale struttura profonde risorse ed energie nel campo del volontariato. Nessun dramma è mai irrisolto, sembra dirci attraverso i suoi versi, e la sofferenza è palestra per una fede ottimistica, alla luce del fatto che ogni diversa abilità, fisica e/o psichica, possa essere compensata e non confinata nel disvantaggio razzistico della cosiddetta ‘minorazione’. La poeta è concreta nel pensare e nell’agire e metabolizza persino gli eventuali fallimenti, virgolettandoli e considerandoli nuovi punti di partenza. Ella respinge il narcisismo del dolore e il tranello della compassione e isola ogni urto regressivo tendente, subdolo, alla resa o al minimo compromesso da refugium ipocritamente morale. Il suo corposo volume, dalle insolite dimensioni di album, di almanacco, di abbecedario, quasi aderente all’ideale façon del maestro dell’estetica Gillo Dorfles, si dispone ad un verso polifunzionale, di natura empatica, di catturante e ‘pedagogica’ intensità, che risulta di agile accesso, accattivante, e che deriva da tutte le possibili stratificazioni della sua esperienza personale e sociale. L’ampio cantiere della sua attività creativa la conduce nei viali istruttivi della tradizione favolistica e fiabesca tra ammiccamenti mai iperletterari a Grimm, Perrault, a Rodari (con spigolature di ironia ferocemente divertita e crudamente allegorica) e ad echi sottili di Calvino, Palazzeschi; e negli haiku la pervasività di Ogiwara Seisensui, Mario Chini, Luigi Oldani, Mariella Bettarini, G. Bartolini Luongo. Che abbia abboccamenti metrici o persuasioni in libera composizione, Di Dalmazi non tradisce i suoi propositi di intrattenimento riflessivo, attraverso una prosodia nel rapporto poesia/prosa/teatro, grazie a versi diretti all’ascolto armonico, produttore dell’immaginario visivo della fantasia. Il bel fluire ritmico la protegge dalle griglie formali, la indirizza ad una pronuncia flessibilissima con tutto l’impatto del vibrato di un pensiero gestuale, di una emozione dai bagliori repentini. E questo sia nell’invenzione prodigiosa delle poesie “infavolate” (in particolare Cappuccetto rosso e Hansel e Gretel), sia nella ripartizione delle ‘poesie virulente’ o di quelle dedicate all’amore universale a tutto tondo, compresa la terra delle origini con affioramenti dell’inconscio e catene archetipiche. Vasta e intrigante la sezione dell’haiku, dai riflessi plurimi e dall’aura d’innocenza della parola, che incanta, fa sostare o piacevolmente trafigge. “…Non è il posto del cuore/anche se esso lo abita/ci si sveglia ogni mattina/a combaciare gli assoluti./Non è il posto dei sentimenti/anch’essi ci vivono/tra cesti di ossa rotte/e fotoni di poesia./Non è il posto della gioia/tristezza/né della rabbia/o della solitudine./Siamo uno./Tantomeno il posto della passione/sgorgo purificato che più non bagna./Non è il posto della mente/della razionalità,/l’amore non fa calcoli./Ma è il posto dove anela lo spirito/codice già scritto nei cieli/donde nudi/come trasparenza d’aria/attraversammo deserti/sopravvivendo alle amputazioni/ove commiato non esiste…”; “Sono io il mio tempo/ senza spazio/galleggio/in bilico sui bordi./Mi confesso in parole fluide/fatte di fecondi mutamenti/lenti/tralci di rose profumate./Su una meravigliosa terra/smossa/”Gaia”/che crea senza vagito./A scovare l’imperfezione/che rimanda/alla bellezza./Nel silenzio mistico della nascita.”; “…Ti sento ridacchiare/ maledetta notte/anche tu non hai più nulla da offrirmi/anche tu stanca dei miei scarti/legati come aborti,/arti ritorti/a trattenermi i polsi/tra labirinti di lenzuola avulsi…”/;“ Lasciatemi andare/così, libera/da ogni cosa/umana e disumana,/libera di volare/negli spazi di luce/intravista di scorcio./Lascio solo/il fruscìo dei miei versi/sono la mia storia/troverete/poche virgole come erba tagliata,/poche parentesi tra zolle di terra,/qualche punto interrogativo deserto/e molti punti e capo/al sorgere del sole…”; “E spera sempre/non getta mai la spugna/l’onda che torna.”; “Forza è vita/che respira i silenzi/nei verdi spazi”; “Un soffio muove/erbacce del passato/spiantale bene”; “Legge la luna/è zingara la foglia/magia nera”; “La notte ardente/cielo rosso vermiglio/bruciano stelle”; “Tagliente pietra/brilla tra l’erba secca/luce d’inerzia”; “Acqua salata/è mulinello il pianto/buco del mare”;”A randa randa/poppavia l’albero/vela di taglio”.
ARMANDO SAVERIANO

For a long time…

Da tanto tempo
ormai vivo
nell’abbandono
abbacinante
della poesia:
che qualcuno
mi percuota
o mi accarezzi
è irrilevante,
tranne lo Spirito.

©Manuela Di Dalmazi

For a long time
now alive
in abandonment
dazzling
of the poem:
that someone
hits me
or caress me
it’s irrelevant,
except the Spirit.

https://m.youtube.com/channel/UCGcjzS07wmIam6vRfuLP_9w

La situazione della vita non è la vita

La mente si dà nel tempo
La situazione della vita
non è la vita
Ne ascolto il silenzio dietro il frastuono,
sorrido […]

(Da Germoglia l’anima deserta)

© Manuela Di Dalmazi

“The situation of life is not life”

The mind gives itself over time
The situation of life
it is not life
I listen to the silence behind the din,
I smile […]